venerdì 17 agosto 2012

Produzione e distribuzione della ricchezza nel mondo antico - Parte 3

Questo post in più parti è una traduzione commentata di alcuni brani del saggio di Michael Hudson History Of Debt And Property From The Ancient East .

Impresa produttiva commerciale ed etica aristocratica predatoria

Guardando all'economia del mondo antico in un'ampia prospettiva storica, il fatto che più colpisce è l'iniziale emergere e poi il declinare dell'impresa produttiva commerciale, fino al crollo finale dei mercati che si ebbe con l'ingresso nell'epoca medioevale. Nel mondo classico greco romano in realtà l'impresa non decollò mai e l'origine della ricchezza, o almeno delle grandi fortune, fu sempre predatoria.

... il problema per gli storici economici è quello di spiegare il perché il commercio e l'impresa ad un certo punto si arresero e cedettero il campo agli anni bui del Medio Evo.
Che cosa soffocò le imprese migliaia di anni dopo il loro decollo nel Vicino Oriente? Per un secolo gli storici hanno colpevolizzato la regolamentazione statale.
Ma furono i templi e i palazzi di Sumer e di Babilonia, che per primi introdussero le innovazioni commerciali più elementari, tra cui i primi mercati e i primi prezzi ufficiali.
Si deve ora prendere in considerazione l'ipotesi che il crollo dell'antichità possa essere ricondotto maggiormente ad una cattura dello stato da parte delle oligarchie e allo smantellamento di quei controlli ed equilibri che avevano impedito alle economie del Vicino Oriente di polarizzarsi in misura fatale tra creditori e debitori, mecenati e loro clienti, uomini liberi e schiavi.

La tesi di Hudson sulle cause del destino dell'impresa nel mondo classico è che le responsabilità del declino non vadano cercate in un suo soffocamento dovuto agli eccessi del settore pubblico, anzi il confronto con la più florida situazione dell'impresa nel Vicino Oriente mostra come templi e palazzi regi abbiano saputo agire da stimolo e regolazione delle attività produttive.

Hudson invece punta il dito verso le oligarchie greco-romane che con le loro pratiche predatorie, coerenti con l'etica aristocratica e guerriera, trascurarono la produzione e distrussero i mercati interni dove le produzioni potevano trovare sbocchi.

L'etica oligarchica preferì razziare la ricchezza all'estero che crearla a casa. I modi principali per fare fortuna erano la conquista, le razzie e la pirateria, la cattura e il commercio degli schiavi, i prestiti di denaro, l'esazione fiscale privata in agricoltura e attività affini più predatorie che imprenditoriali. Guadagnare ricchezza estraendola da altri è stato ritenuto almeno tanto nobile (se non di più) che farlo con il commercio, che era ritenuto ugualmente una forma di sfruttamento ma senza l'esercizio del coraggio personale. "Quando ero giovane era sicuro e dignitoso essere un uomo ricco," si lamentò Isocrate ad Atene durante le lotte nella città-stato tra democrazia e oligarchia, "ora bisogna difendersi contro l'accusa di essere ricco, come se fosse il peggiore dei crimini"(Antidosis 159, citato in Humphreys 1978:297).
Il risultato di questo atteggiamento denigratorio fu che, sebbene gli imprenditori stessero ai punti cruciali dell'economia - gestendo proprietà, organizzando i trasporti, le costruzioni pubbliche, i laboratori operativi e le forniture all'esercito - nel corso dell'antichità hanno lavorato in un ambiente sempre meno favorevole a tali attività, e appena poterono cercarono di diventare più piacevolmente redditieri e filantropi. L'effetto generale fu di esaurire le risorse economiche delle regioni che venivano conquistate militarmente dalle politiche imperiali.

Alcuni aspetti dell'etica aristocratica erano particolarmenti deleteri per lo sviluppo dei mercati.

Era come se gli aristocratici privilegiati che ereditavano uno status economico e politico favorevole si sentissero imbarazzati a dover cercare attivamente di ottenere ricchezza dalle attività commerciali (in particolare il commercio al dettaglio con i socialmente inferiori) invece di produrla (e consumarla o distribuirla) sui loro possedimenti.
L'ideale classico era di rimanere autosufficienti e indipendenti sui latifondi, non di sporcarsi le mani impegnandosi nel commercio e nel prestito di denaro. Sembra quindi una ironia del destino che, su larga scala economica, l'oligarchia esaurì il mercato interno. I suoi membri strapparono via gran parte della terra alla comunità attraverso il pignoramento per debito, ridussero la popolazione alla schiavitù, e distrussero così anche il commercio e l'economia, conducendo agli anni bui dell'Europa occidentale.

La crescente polarizzazione delle ricchezze, conseguente alle pratiche accaparratorie di terre della aristocrazia, con la riduzione in servitù di gran parte della popolazione, diede il colpo finale ai mercati e alle imprese.

Le famiglie più ricche e più importanti di Roma cercarono di fare dipendere da loro tanti clienti, debitori e schiavi quanti ne era possibile ottenere con la forza, l'usura e il controllo del territorio. Questo spirito predatorio del redditiero portò alla secolare Guerra Sociale (133-29 aC) che vide la Repubblica polarizzarsi economicamente, spianando la strada alla servitù della gleba diffusasi nel successivo Impero. Si cerca invano nella produzione culturale di Roma antica l'idea che la ricerca del profitto di impresa debba guidare il miglioramento della società per raggiungere livelli più elevati di produzione e standard di vita. Nessuna delle grandi menti dell'epoca impostò lo sviluppo di una politica per la società o anche per l'oligarchia come classe, dove potere arricchire con la crescita economica e lo sviluppo di un mercato interno.

Alla ricerca storica si pone quindi il problema del perché lo sviluppo di un'etica d'impresa fu tanto contrastato.

Qual era dunque la sfida che portò le comunità a sviluppare un'etica di impresa commerciale? ...
Che cosa rese nel mondo antico così difficile ad emergere quest'etica, che oggi sembra per noi così naturale? Per rispondere a queste domande è necessario affrontare la transizione dallo scambio del dono interpersonale al commercio all'ingrosso a prezzi di mercato standardizzati, cioè, dalla produzione e dallo scambio 'antropologico" a quello "economico".

Nella parte successiva esporremo le ipotesi formulate da Hudson per spiegare le origini dell'impresa e le sue difficoltà, a partire dalle società primitive che vivevano di un'economia di sussistenza e passando per il crogiuolo di civiltà, e di pratiche economiche, che furono le città tempio dell'antica mesopotamia.

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