martedì 14 agosto 2012

Produzione e distribuzione della ricchezza nel mondo antico - Parte 2

Questo post in più parti è una traduzione commentata di alcuni brani del saggio di Michael Hudson History Of Debt And Property From The Ancient East .
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Parte 1 - Premessa

Introduzione

Per lungo tempo gli economisti hanno ritenuto l'attitudine economica (commerciale e imprenditoriale), come prerogativa esclusiva di istinti economici individuali.

Un secolo fa gli economisti potevano fare solo speculazioni sulle origini dell'impresa. Sembrava logico supporre che individui con spirito imprenditoriale avessero giocato un ruolo chiave nel commercio arcaico, motivati da ciò che Adam Smith descrisse come un istinto a "trasportare e barattare". Quando un sito miceneo greco del 1200 aC fu portato alla luce dagli scavi e furono trovati magazzini con registri contabili, l'edificio di conseguenza fu chiamato "una casa di mercante", presupponendo una natura privata dei suoi commerci.

La ricerca di uno "status sociale" non era inclusa tra le motivazioni economiche.

Gli approcci materialistici alla storia, sia da parte marxista che da parte di scrittori orientati al business, hanno assunto che un impulso senza tempo verso il guadagno determinò lo status e il potere politico. C'è sempre stato poco spazio per l'idea di Max Weber, secondo la quale una spinta per lo "status sociale" potrebbe avere dominato i motivi economici ed essere la chiave per l'evoluzione delle imprese e della ricchezza.

Così come era ignoto il ruolo economico svolto da istituzioni religiose e politiche.

C'erano anche poche notizie storiche di templi e palazzi che svolgessero un ruolo di catalizzatori nella produzione o nell'allestimento di imprese commerciali. Eppure furono proprio queste istituzioni semi-pubbliche, non gli individui in quanto tali, che inventarono gli elementi di base dell'impresa che a lungo sono stati assunti essere senza tempo: la moneta, la contabilità per calcolare i guadagni, il credito e le formalità contrattuali di base.

Hudson non crede quindi alla tesi marxista del primato dell'economia nel determinare i valori spirituali, propende invece per la capacità di questi di plasmare i comportamenti economici.

A modificare l'atteggiamento degli studiosi sono state numerose scoperte documentali relative alle civiltà mesopotamiche.

La traduzione di documenti cuneiformi nel secolo scorso ha cambiato questi atteggiamenti. Nel corso dell'ultimo decennio una vera esplosione di seminari e pubblicazioni ha analizzato l'emergere dell'impresa in Mesopotamia e nelle sue vicinanze, in particolare Dercksen (1999), Bongenaar (2000), Zaccagnini (2003), Manning e Morris (2005) e, in precedenza, Archi ( 1984), oltre alle compendiose "Civiltà del Vicino Oriente Antico" (Sasson et al. 1995).

Anche i lavori di Hudson e del gruppo ISCANEE si concentrano su questi documenti.

Il nostro gruppo di lavoro, la International Scholars Conference on Ancient Near Eastern Economies, ha tenuto seminari riguardanti l'equilibrio pubblico/privato (Hudson e Levine 1996), l'emergere di mercati fondiari urbani e rurali (Hudson e Levine 1999), le pratiche di debito e come le società gestirono le difficoltà economiche che ne derivarono (Hudson e Van De Mieroop 2002), la contabilità e l'emergere della moneta e di prezzi standardizzati (Hudson e Wunsch 2004). Questi volumi della conferenza sono stati sostenuti da molti libri e articoli che presentano una visione complessa della nascita dell'impresa commerciale.

L'analisi degli sviluppi economici del mondo antico non può quindi partire dal mondo classico greco romano ma deve essere inquadrata in processi che hanno avuto inizio molto prima, almeno nel III millenio aC.

E' ormai riconosciuto che la maggior parte delle tecniche che sarebbero diventate fondamentali pratiche commerciali nell'antichità classica erano già state sviluppate nel terzo millennio aC, nei templi e nei palazzi dell'età del Bronzo del Vicino Oriente - la moneta, insieme con pesi , misure e prezzi uniformi necessari per la contabilità e le relazioni annuali, l'applicazione di interessi, le partecipazioni tra istituzioni pubbliche e commercianti privati ​​che vanno dal commercio a lunga distanza, all'affitto della terra e di laboratori e alle concessioni di vendita al dettaglio di birra.
Gli assiriologi ora applicano ampiamente il termine di "imprenditore" a partire dai "mercanti" tamkarum assiri e babilonesi dell'inizio del secondo millennio aC fino alle famiglie Egibi e Murashu di Babilonia del VII e V secolo aC, che crearono nuove strategie commerciali per gestire le proprietà terriere e le forniture al palazzo e alle sue forze armate.

E' documentato che queste pratiche si svilupparono inizialmente nelle pianure alluvionali della mesopotamia, terre molto fertili ma povere di metalli, pietre e legnami e quindi "costrette" a sviluppare commerci a lunga distanza. Poi esse si diffusero progressivamente verso occidente.

Queste pratiche furono sviluppate inizialmente per creare un surplus di esportazioni di prodotti tessili, metalli e altri prodotti ad alta intensità di lavoro per ottenere pietra, metallo e altre materie prime che mancano nel sud della Mesopotamia (l'attuale Iraq). Durante il secondo millennio queste tecniche si diffusero verso ovest via Ugarit e Creta fino alla Grecia micenea.

Ma durante questo processo di sviluppo avvenne una grave cesura le cui cause restano ignote.

Dopo la lunga età oscura che seguì il crollo di Micene nel 1200 aC, mercanti navigatori le portarono in Grecia e in Italia, dove vennero adottate a partire dal 750 aC circa, in un contesto meno favorevole alle imprese e con un minor numero di controlli e garanzie sul debito, e le pratiche predatorie delle oligarchie. Il clientelismo finì per essere considerato come uno stato naturale delle cose poiché gli atteggiamenti economici cambiarono rispetto a quelli nel Vicino Oriente.

Questo cambio di atteggiamento è un punto focale dell'analisi di Hudson. Nel mediterraneo occidentale dominavano valori sociali individualisti ed aristocratici, e su di essi vennero innestate pratiche economiche nate in un contesto ove religione e potere regio esercitavano un forte controllo per evitare distorsioni e comportamenti individuali socialmente nocivi. Sembra quasi la descrizione di una ibridazione dagli effetti collaterali nocivi.

Nel mondo greco come poi in quello romano era diverso l'atteggiamento nei confronti del lavoro produttivo e della imprenditorialità.

Le ricche famiglie greche e romane controllarono la produzione artigianale, il commercio e il credito direttamente, piuttosto che coordinare queste attività attraverso i templi e i palazzi del potere. Eppure l'atteggiamento aristocratico dell'antichità classica vedeva l'impresa commerciale come umiliante e corruttrice. I dettagli del commercio e dell'impresa in genere erano lasciati agli estranei o agli schiavi e ad altri subordinati che agivano in qualità di manager, organizzatori e intermediari in loco.

Ma neppure questi subordinati cui erano delegate le attività produttive sviluppavano compiutamente le loro capacità imprenditoriali, perchè non appena avevano successo miravano subito alla scalata sociale e ad entrare nei ranghi della aristocrazia.

Gli individui più intraprendenti erano selezionati dai ranghi inferiori della scala sociale, caratterizzati dal personaggio paradigmatico del liberto Trimalcione nella commedia di Petronio risalente al tempo di Augusto. "Maggiore la dignitas di un uomo," ha sottolineato D'Arms (1981:45), "più è probabile che il suo coinvolgimento [negli affari] fosse indiretto e discreto, nascosto dietro a quello di un mediocre liberto, - cliente, partner, 'front man ', o 'amico '". Quando tali individui minori erano in grado di accumulare fortune loro proprie, essi aspiravano a uno status più elevato e di prestigio investendo i loro guadagni nella terra e cercando di ottenere una carica pubblica. Il liberto Trimalcione "immediatamente cessò di operare dopo avere ammassato una fortuna, [e] investì in terreni e, successivamente, parla e si comporta come una caricatura di un senatore romano" (ibid.: 15; Vedi Dione Crisostomo, Or 46,5).

Per valutare gli effetti di questi atteggiamenti negli sviluppi economici dell'antichità classica e per dare una corretta impostazione all'analisi delle attività produttive e della imprenditoria nel mondo antico Hudson afferma la necessità di ampliare il quadro storico di riferimento comprendendo le civiltà mesopotamiche.

La storia dell'impresa nell'antichità rientra quindi naturalmente in due periodi.
Il primo è lo sviluppo di pratiche economiche in Mesopotamia nel 3500-1200 aC circa.
Procedendo verso la fine dell'antichità troviamo che la ricerca del guadagno si sposta lontano dalle imprese produttive verso l'accaparramento di terreni, l'usura, i profitti da cariche politiche e l'estrazione dei tributi stranieri dopo conquista militare.
Iniziare la storia dell'impresa in questa epoca classica più tarda, vorrebbe dire ignorare il fatto che le pratiche commerciali avevano già un pedigree di migliaia di anni dal tempo che i commercianti del Vicino Oriente le portarono verso le terre del Mediterraneo alla metà dell’ottavo secolo aC.

Viene qui introdotto il tema centrale nell'analisi di Hudson, quello del conflitto tra attività produttive e attività redistributive, o predatorie, che è una costante ineliminabile dell'essere socio-economico dell'uomo. La ricchezza la si può ottenere sia con la produzione che con la redistribuzione a proprio vantaggio, legittimata dalle regole del gioco economico o criminale.
Il proseguio dell'analisi fornirà una prospettiva storica su questo tema, offerta dal confronto tra gli atteggiamenti (e loro conseguenze), del mondo antico del Vicino Oriente e di quello antico classico greco romano.

Si può già comprendere che l'auspicio di Hudson è che si possa trarre maggiore insegnamento dalla saggezza mesopotamica che dallo spirito guerriero e predatorio di greci e romani.

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