mercoledì 1 agosto 2012

Capitalismo finanziario e industriale - Parte 1

Questo post in più parti è una elaborazione molto libera di questo articolo di Michael Hudson From Marx to Goldman Sachs: The Fictions of Fictitious Capital a cui attinge(copia) numerosi contenuti.
La posizione di M. Hudson rappresenta una critica molto radicale del capitalismo finanziario internazionale egemonizzato dalle oligarchie finanziarie statunitensi e britanniche. Le sue analisi riguardano prevalentemente l'economia statunitense e molte considerazioni richiederebbero un adattamento al contesto europeo e italiano.

Introduzione

Gli economisti classici svilupparono la teoria del valore-lavoro per potere distinguere il valore reale di un bene (il suo costo di produzione socialmente necessario) dalla rendita economica, che definirono come l'eccesso del prezzo di mercato rispetto al valore reale.
Essi definirono "libero mercato" un mercato libero da tale rendita economica "immeritata", un mercato dove i prezzi sono uguali ai costi effettivi di produzione. Di conseguenza la maggior parte dei riformatori esortò - e previde - la nazionalizzazione di terre, monopoli e privilegi bancari, o almeno la tassazione dei loro redditi "immeritati", e auspicò che il sistema bancario sarebbe stato subordinato alle esigenze del capitalismo industriale.

L'investimento in capitali industriali sembrava in procinto di sostituire il "capitale usurario" fruttifero, ereditato dai tempi antichi e feudali, con il quale i debiti crescevano a interesse composto in eccesso ai mezzi per ripagarli, portando a crisi segnate da fallimenti, pignoramenti e riduzioni in servitù per debiti. Nell'antichità e nel Medioevo, gli investimenti sono sempre stati autofinanziati - e quindi sono stati effettuati principalmente da grandi istituzioni pubbliche (templi e palazzi) e dai ricchi. Storicamente il prestito ad usura aveva preceduto di gran lunga il capitale industriale ed era esterno ad esso, vivendo in una simbiosi molto simile a quella tra un parassita e il suo ospite. Avere mobilitato il credito per finanziare la produzione, subordinando capitali prima usurai alle condizioni e ai requisiti del modo di produzione capitalistico appariva la grande conquista del capitalismo industriale.

Ma le cose si svilupparono diversamente e gli interessi della rendita promossero un contro-illuminismo capace di minare le riforme che promettevano di liberare la società da speciali privilegi.

Invece di promuovere gli investimenti di capitale in alleanza con l'industria e il governo, i pianificatori finanziari hanno sponsorizzato una parodia del libero mercato. Per prima cosa hanno formato un'alleanza tra finanza, assicurazioni e settore immobiliare per chiedere e ottenere dai governi la totale o quasi totale esenzione fiscale della rendita terriera e da monopolio, dei capital gains e delle proprietà acquistate a debito.
Un reddito non tassato può convenientemente essere capitalizzato, comprato e venduto a credito, generando pagamento di interessi. Ad esempio gli interessi pagati sui mutui per la casa sono deducibili fiscalmente così che un potenziale introito fiscale può invece essere incassato dalle banche come pagamento di interessi.

A differenza del capitale industriale (mezzi materiali di produzione), i prestiti bancari, i titoli del debito pubblico e le obbligazioni sono rivendicazioni legali sulla ricchezza. Queste rivendicazioni non creano ricchezza, ma sono come spugne che assorbono il reddito e il patrimonio dei debitori - ed espropriano questo patrimonio quando i debitori (inclusi i governi) non possono ripagare i debiti.

Il risultato è che l'economia odierna è gravata da oneri immobiliari e finanziari per servizi "fittizi" non necessari alla produzione: una proliferazione di costi finanziari sotto forma di interessi e commissioni, stipendi di gestione esorbitanti per i manager, oltre a bonus e stock options. Man mano che la programmazione economica è passata dal governo al settore finanziario, al posto di una regolamentazione pubblica dei prezzi dei beni e servizi essenziali, finanziata da una tassazione progressiva, abbiamo avuto un aumento dei debiti dei privati e del settore pubblico.

Ora questi debiti pubblici e privati sono tutti sottoposti alla legge della capitalizzazione annua degli interessi. Questa legge fa sì che anche nel caso non siano contratti nuovi debiti il debito continui inesorabilmente a crescere. E’ il potere magico dell’interesse composto, che portò un certo Richard Price a calcolare che un penny risparmiato alla nascita di Gesù, e investito al 5%, sarebbe divenuto pari, ai suoi giorni, ad una sfera solida d’oro che si estendeva dal sole al pianeta Giove.

Gli effetti della “magia dell’interesse composto” sulla dinamica dei redditi sono tali che la rendita finanziaria è tendenzialmente e inesorabilmente proiettata ad assorbire tutta la ricchezza prodotta dai settori produttivi ad eccezzione della quota rivendicata dallo Stato e dei mezzi necessari di sussistenza dei produttori. Ma questo può non bastare se gli interessi continuano ad incrementare il debito. Si arriva allora al punto in cui i banchieri e gli investitori riconoscono che le forze produttive della società non sono in grado di sostenere a lungo la crescita del debito fruttifero a tassi composti. Vedendo che la finzione deve cessare, essi richiamano i loro prestiti e pignorano le proprietà dei debitori, rendendone obbligatoria la vendita a prezzi fallimentari.

La crescita auto-espansiva dei crediti finanziari consiste quindi di capitale che possiamo considerare in gran parte "immaginario" o "fittizio", in quanto non può essere realizzato nel corso del tempo. Quando i guadagni finanziari fittizi sono obbligati a confrontarsi con la realtà dell'impossibilità dei debitori a pagare il servizio del debito (capitale + interessi + commissioni) le interruzioni nella catena dei pagamenti causano le crisi finanziarie.

Gli ultimi decenni hanno visto il settore bancario e finanziario evolvere al di là di ciò che qualsiasi scrittore del XIX secolo immaginò.
I responsabili finanziari hanno preso il sopravvento sulle aziende industriali, per creare quello che Hyman Minsky ha definito il "capitalismo dei gestori finanziari". Frodi finanziarie, prestiti immobiliari subprime, credit default swaps e altri derivati ​​hanno portato a spericolate speculazioni che hanno richiesto nel 2008 il salvataggio della finanza con i soldi dei cittadini contribuenti.
Nella sfera politica inoltre, la finanza è diventata il grande difensore della deregolamentazione dei monopoli e della detassazione delle rendite e dei capital gains. Essa ha saputo trasformare il suo potere economico in potere politico grazie a generosi contributi alle campagne elettorali dei politici, acquisendo un controllo di fatto della pubblica regolamentazione finanziaria.

La domanda che deve essere posta oggi è quindi: quale dinamica emergerà dominante, quella del capitale industriale o quella del capitale finanziario?

Puntata successiva: Parte 2 - La discussione su quale ruolo produttivo e industriale avrebbe giocato l'alta finanza

Questo post in più parti è una elaborazione molto libera di questo articolo di Michael Hudson From Marx to Goldman Sachs: The Fictions of Fictitious Capital a cui attinge(copia) numerosi contenuti.

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